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Il garum a Pompei. Lo sapevi che?

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Uno dei primi a parlarne fu Marco Gavio Apicio, almeno così si tramanda nell’opera postuma De re coquinaria. Nella sua cucina condisce una ventina di pietanze romane con quello che lui chiama garum.

La produzione era ottenuta dalla fermentazione delle viscere di paranza e del pesce seccato al sole, da cui veniva separata una parte solida e una liquamen.

Plinio il Vecchio in seguito descrive il garum come un liquor exquisitus, sostanza salina ottenuta dal processo di fermentazione delle viscere di pesce, salata al punto giusto in modo da macerare e non far marcire la parte non utilizzata.

Il garum sociorum era il più caro e ottenuto dagli sgombri lavorati nella provincia iberica dai tunisini provenienti dalla Phoenia.

A Pompei è stata identificata l’Officina del Garum dove sono rinvenuti sei dolii seminterrati con all’interno ossa e scaglie di pesce. Dalle analisi archeozoologiche effettuate su una parte dei reperti organici all’interno dei contenitori, sono stati identificati esemplari di Spiccara Smaris ossia lo zerro.

Nella domus di Marco Fabio Rufo a Pompei hanno ritrovato il fondo di una olla con un deposito di migliaia di ossa di pesce, hallec, ossia la parte solida della salamoia filtrata in una cesta.

La pasta filtrata hallec era meno raffinata del liquamen di prima scelta. Quest’ultimo era considerato il prodotto d’eccellenza che Anlus Umbricius Scaurus commercializzava a Pompei oppure il flos flos che si otteneva dalle murene.

Il garum era dunque una sorta di “aceto balsamico” utilizzato per esaltare la sapidità

Riferimenti bibliografici

Elementi di pescagione e salagione in Campania. Il Garum del credenziere latino. AA.VV.

L’ultimo garum di Pompei. Analisi archeozoologiche sui resti di pesce
dalla cosiddetta “Officina del garum”. Alfredo Carannante

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